Sono il papà di un bambino emofilico. Il giorno in cui è nato, è stato il più felice della mia vita. Una mattina mia moglie si accorge che il piccolo ha l’inguine gonfio. Il pediatra ci manda in ospedale, dove viene operato d’urgenza. Poi ci comunicano che è emofilico ed in pericolo. Sentii un dolore indescrivibile, abbracciai forte mia moglie disperata. Avevamo paura, non conoscevamo la malattia, volevamo solo sapere se sarebbe stato bene. Ci dimisero dopo un mese, dandoci un appuntamento a un anno di distanza.
Fu l'anno più lungo della mia vita, pieno di angoscia e dolore, non riuscivo a incoraggiare la mia famiglia, non accettavo la malattia. Un grande sollievo è stata la presenza della mediatrice familiare della fondazione Paracelso. Il nostro bambino cresceva felice anche tra i lividi, ma il peggio doveva ancora arrivare. Una notte si sveglia piangendo e si getta all'indietro come se avesse un forte dolore alla schiena. Lo portiamo in ospedale, passano i giorni, il piccolo peggiora, è tutto storto, soffre. Dopo la TAC e la risonanza, i medici ci dicono che ha una emorragia alla colonna vertebrale, che va operato d'urgenza anche se l’intervento comporta gravi rischi. Il mio bambino poteva morire! L'operazione sarebbe durata molte ore, le più angoscianti, le più disperate nella vita di un genitore. Abbiamo cercato un po’ di forza nella cappella dell'ospedale. Dopo tante ore squilla il telefono: Il nostro bambino era fuori pericolo, l'operazione era riuscita ma non sapevamo se sarebbe rimasto quadriplegico. Per cinque lunghi giorni siamo rimasti in rianimazione senza sue notizie. Una sera, di ritorno a casa, mia moglie ha iniziato a urlare e a distruggere tutte le cose del bimbo. L'ho abbracciata forte, l’ho calmata, e quando si è addormentata, mi sono sentito crollare il mondo addosso: è stato terribile. Nella notte mi chiamano: Il nostro piccolo aveva la febbre a 39,5, rischiava di non sopravvivere. Siamo andati in ospedale, gli abbiamo detto che eravamo lì vicino a lui e che sarebbe stato per sempre il nostro piccolo dono, poi siamo tornati a casa, ormai senza speranza. Alle 5 del mattino squilla il telefono: la febbre era passata e nostro figlio si stava svegliando dal coma.
Oggi ha tre anni, va a scuola, corre, gioca, come tutti i bambini. Ha un fratellino di 13 mesi pure lui emofilico, ed io sono un papà felice.