Torna alle storie
Roche – A fianco del coraggio
Voti totali:
Amo mia moglie, stiamo insieme da dieci anni ma siamo riusciti a dedicare a noi più o meno tre mesi. Quando ci siamo conosciuti, stavo lottando per ottenere l’affido della mia prima figlia, nata dalla relazione con un’altra donna. Mia moglie mi è stata vicina. Ha combattuto con me, con me ha voluto bene alla mia bambina. Ci siamo sposati, ed è arrivato il figlio che tanto desideravamo. Quando finalmente la battaglia in tribunale è finita, quando finalmente ci siamo trovati in quattro, senza ombre, forti e vicini, abbiamo scoperto la malattia di nostro figlio. Subito dopo le prime infusioni, lo sviluppo dell’inibitore. È stato molto difficile, ci ha aiutati la mediatrice familiare di Fondazione Paracelso. Mia moglie ha cominciato ad aprirsi, a fidarsi, piano piano, la fondazione ha acceso di nuovo la luce dentro casa nostra, ci ha restituito la vista.
Adesso, dopo aver sconfitto sconfitto l’inibitore, fa la profilassi un giorno sì e un giorno no; lo infonde nella fistola mia moglie tre volte alla settimana. In quei giorni, entro le otto meno dieci mi arriva il suo messaggio sul lavoro: “Ho fatto”. Due sole parole. Per molto tempo, quando uscivo dicevo a mia moglie che andavo al lavoro ma in realtà mi fermavo sotto casa. Aspettavo il benedetto messaggio lì, e mi muovevo soltanto dopo che era arrivato. Temevo che si sentisse male e volevo essere vicino, pronto per correre subito in ospedale… Sono rimasto sotto casa a lungo. Dopo tre anni l’ho confessato e lei mi ha risposto che lo aveva sempre saputo, “non serve che me lo dici… ci conosciamo”.
Quando nostro figlio sta male si rifugia tra le mie braccia, dove si sente protetto, forse perché ci sono sempre stato: in ospedale, all’asilo, ovunque, l’ho sempre accompagnato, con lui sto bene, facciamo tante cose insieme noi due, portiamo il nostro cane al parco, al mare oppure andiamo al cinema... Fin dall’inizio della sua malattia, ha capito che c’era qualcosa che non andava, non poteva correre, non poteva giocare a calcio... Io gli dicevo: “Pazienza, neanche io ho giocato a calcio, facciamo altre cose”. L’inibitore l’ha sconfitto lui con il sorriso, sorride sempre, è nella sua indole, si limita, sa che non può farsi male, conosce la sua malattia ma per lui è normale così, è nato così… ha una forza sovraumana, è un vulcano, il mio bambino “fragilmente forte”.