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Roche – A fianco del coraggio
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In un pomeriggio, come tanti altri, lavoro alla mia scrivania. Suona il telefono e arriva una proposta. Una cosa nuova, insolita, diversa dalle altre. Accetto. Arriva novembre e con lui quella giornata. Il viaggio è tranquillo, di domenica le strade sono sgombre. Ad attendermi Matilde, che mi accompagna in aula. L’aula, per questa occasione, è una biblioteca.
Eccoli arrivare, sono loro i miei partecipanti di oggi. È buffo mi capita raramente di fare aula a ragazzi. Qualche battuta per stemperare il clima, ma i ragazzi sembrano tesi. Loro rappresentano i giovani della Federazione. Un gruppetto misto che arriva un po’ da tutta Italia. La Federazione ha deciso di aderire ad un progetto per formarli perché loro saranno il futuro. Più loro si immergono nella vita associativa più è probabile che l'organizzazione abbia lunga vita e, soprattutto, riesca a supportare sempre più persone affette da questa malattia.
Il mio è un compito importante e delicato. Ho un giorno a disposizione per creare le basi di un gruppo di lavoro. Detto più romanticamente, far germogliare il seme del senso di appartenenza. Decido quindi di proporgli un percorso di confronto che termina con la compilazione di un team canvas. Una sorta di canovaccio del team che mette in luce chi sono le persone, quali obiettivi si pongono, qualche regola e poi, in centro, dentro un bel foglio tagliato a forma di cuore, il fine per cui stanno insieme.
La giornata vola. Seduti in un cerchio di sedie, l'ultima discussione è animata. La tensione dei primi momenti, ormai, è scomparsa. Qualcuno parla di più, altri si limitano ad ascoltare e annuire. Il più giovane del gruppo, ha solo 17 anni. Fra le ipotesi di cosa scrivere in quel cuore spunta la parola “paziente”. “Io non sono solo un paziente, sono prima una persona!” afferma orgoglioso ma con un sorriso furbetto. Anche a me vien da sorridere, apprezzo i ragazzi così giovani che dicono la loro. Qualche scambio ancora, ma la decisione sembra presa. “Perché siete qui, allora?” incalzo io. Lui si gira, mi guarda e prendendo la parola per il gruppo dice: “per abbattere il muro! Un muro che rappresenta l’ignoranza, l’indifferenza, la territorialità.” Riporto la scritta nel cuore del canvas e mi rallegro per l’obiettivo raggiunto: another brick in the wall.
Loro sono i giovani di Fedemo e il più giovane, come gli altri, lotta contro l’emofilia.